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Tra i profumi di cucine cremonesi...

  • Immagine del redattore: Claudia Lena
    Claudia Lena
  • 27 mar 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 27 mag 2020



Taverna La Botte e Ristorante Il Violino



Novembre 2019, centro storico di Cremona



Nata e cresciuta a Cremona, ho imparato ad apprezzare questa città solo trasferendomi a Pavia.

Durante i miei anni universitari riscopro questo comune durante alcune passeggiate in centro,

con il passo veloce e in testa mille pensieri.

Riscopro una piazza bella da togliere il fiato, le vie ciottolate colme di storia, cultura e tradizione.

Così, se fino i miei sedici anni soffrivo solo il pensiero di un sabato mattina al mercato,

a vent'anni non vedo l'ora di tornare nella mia città, a fine settimana, solo per respirare aria di casa:

quella che parte dal banco del pollo allo spiedo e dura fino a quello ortofrutticolo

(cercando ancora però di saltare, scrupolosamente, quello dei tanto odiati formaggi!).

Al termine della mia esperienza pavese mi godo in pieno questa piccola cittadina,

consapevole che mai potrei costruirci una carriera lavorativa.

Eppure, un po' per indole e un po' per passione, mi ritrovo a gironzolare un venerdì mattina tra le strade in cui sono cresciuta.

La nebbia è fitta e il vento è freddo: classica giornata di metà novembre.

In centro si respira già aria di festa, assicurata da domani con la tanto acclamata Festa del Torrone.

Io, contro ogni schema, in tarda mattinata mi intrufolo in un paio ristoranti,.



Premetto a tutti che sono una semplice ragazza armata di carta, penna e macchina fotografica.

Viaggio e mangio per passione, scrivo per necessità.”.

Lo ripeto come un mantra.


 

Via Porta Marzia 5, Taverna La Botte



Tra i miei primi consigli per mangiare qualcosa in centro città La Botte non manca mai.

Di venerdì mattina trovo ad accogliermi una ragazza che lavora in sala, sorridente e divertita alla mia insolita proposta.

Gentilmente chiama Chiara, la proprietaria, nonché cuoca del ristorante.

Sorrido quando le tendo la mano, senza ricevere la sua in cambio.

No scusa.. sto cucinando.. ho le mani sporche”, e subito chiedo scusa io per l'imprevisto.

Per la paura di bruciare il soffritto mi accoglie in cucina, dove mi lascia parlare tranquilla.

All'ingresso vengo inghiottita da un profumo intenso di brasato, che subito dopo vedo preparare in tre pentoloni differenti.

Chiara si scusa per la fretta, ma “la Festa del Torrone richiede il triplo del lavoro”.

Gentilmente ci accordiamo dunque per rivederci, ed è lei stessa a propormi di assistere alla preparazione della pasta fatta in casa.



Eppure, da buona curiosa...

Mi concedo dieci minuti del suo prezioso tempo.

Chiara inizia la sua carriera nel 1981 in un locale poco distante da quello attuale, chiamato proprio “La Botte”.

Solo dieci anni dopo, esattamente il 21 marzo, si trasferisce nell'attuale trattoria.

Questa, essendo un locale storico del 1400, richiese un'intensa ristrutturazione e un importante investimento per restaurare il soffitto.

Ora, a distanza di anni, Chiara ricorda con gioia quei tempi.

Con lo stesso entusiasmo nomina più volte il marito, il quale, finita la propria carriera, inizia ad aiutarla gestendo la sala.


La passione per la cucina di questa signora nasce per caso.

Con le mani in pentola ringrazia mamma e papà, originari di Castelleone e Crema, i quali non le hanno mai lasciato mangiare “la semplice bistecchina”, così la definisce.

Il lavoro è stato un caso. Dopo aver studiato ingegneria, Chiara inizia a lavorare tra bar e pizzerie.

Portando a casa i primi stipendi inizia ad accorgersi di quanto la cucina fosse un piacere ancor prima che un mestiere, e si complimenta con sé stessa per l'esperienza da autodidatta.


Se un domani dovesse dare la sua attività in mano a qualcun' altro, si augurerebbe di tramandare un buon valore al ristorante.

Purtroppo”, dice Annalisa, “al giorno d'oggi non basta sapere cucinare bene, ma bisogna anche saper gestire molte cose”.

Il suo riferimento va a altri locali storici della città che, nonostante le “giovani teste”, falliscono per la mancata capacità di inserimento all'interno di un contesto come quello cremonese. E rimarrei ad ascoltarla per ore, mentre il brasato prende forma e il mio maglione sempre più odore. Ma capisco di rubarle tempo e lavoro, così ringrazio e saluto.

Oltre al profumo di carne, esco dal ristorante portandomi dietro la voce di quella donna. La sua disponibilità e il suo modo gentile per farmi capire di aver molto lavoro da fare.

La sua storia, la sua cura ai dettagli in cucina e i suoi occhi grandi e azzurri, illuminati al pensiero del suo caro assistente di sala.

...ma, questa pasta fatta in casa ?

Come già fatto in passato, a Chiara piace proporre i suoi tortelli di zucca.

I tortelli di zucca che potete ordinare alla Taverna La Botte rimangono fedelissimi alla tradizione.

Per farli servono Grana Padano, amaretti, mostarda cremonese, sale e noce moscata.

Immancabile protagonista la zucca, di cui Chiara specifica la variètà “Marina di Chioggia”.

La preparazione di questo piatto inizia proprio dalla cottura di questo ortaggio.

In un secondo momento sarà necessario scartarne la scorza, così da lavorare la parte rimanente con il passaverdure.

Successivamente si uniscono il Grana, gli amaretti sbriciolati, la mostarda, un pizzico di sale e di noce moscata.

Si amalgama il tutto e si otteniene un ripieno consistente.



Per preparare la pasta servonofarina, uova e sale.

Una volta inserito il ripieno nell'impasto si tratta solo di cuocere i tortelli in acqua salata e saltarli in padella con burro, salvia e Grana.

Al termine si impiattano e si servono con l'ultima dose di Grana Padano.


 

Via Sicardo Vescovo 3, Ristorante Il Violino





Siamo a novembre inoltrato, tra due giorni è il mio compleanno e io mi ritrovo a rincorrere il tempo.

In agenda prevedo tre giorni di impegni e la cosa mi piace da matti.

In mattinata mi dirigo a piedi verso il centro consapevole che, sabato mattina e Festa del Torrone, significhi solo una cosa: caos.

Come da accordi, alle 10:03 mi trovo fuori dall'ingresso del Ristorante Il Violino.

Parliamo di uno dei locali storici della città e uno dei più ambiti dai vari turisti.

Parliamo di un ingresso signorile e di una sala curata nei dettagli in cui dispiace quasi alzarsi una volta terminato il pasto.

Del servizio, invece, parlerò una volta seduta ad una di quelle tavole rotonde: questa volta, infatti, ho avuto l'onore di essere accolta in cucina.



Dopo aver bussato alla porta senza ottenere risposte qualcuno viene ad aprirmi e mi riceve con tanto di scuse.

Questo qualcuno si chiama Francesco Rozza, viene da Ticengo e ha venticinque anni.

Io mi spoglio di zaino e cappotto e sorrido con famigliarità, riferendo di essere quasi coetanei e confessando di ricordarmi il suo percorso a Masterchef 7. Francesco, a testa alta ma con fare modesto, si complimenta e mi lascia proseguire tra la sala e la cucina.


Fuori il mercato offre delle grosse zucche piacentine di un color arancio vivo.

Francesco mi dà il via libera per entrare in cucina prima di dirigersi all'esterno a recuperarne quattro o cinque.

Mentre lo immagino al fresco tra gli odori di fritto e formaggi, mi addentro nel retro del locale.

Ad accogliermi trovo tre giovani ragazzi con una carriera invidiabile.

Io sono Claudia, piacere”, e subito mi assicuro di non essere, ai loro occhi, un disturbo.

Il team, Francis compreso (così lo chiamano i giovani colleghi), è composto da quattro ragazzi.


La più giovane si è diplomata quest'anno e impasta un composto con la facilità di chi fa quel movimento da anni.

Con la stessa facilità e tenerezza mi dice: “io sono piccola”; io invece dico che è timida ma molto abile e decisa.

Nunzio, a due metri da lei, si dichiara al contrario a suo agio nelle vicinanze di una fotocamera.


Classe '89, vede trascorrere poco tempo dal proprio diploma al primo lavoro in un ristorante con ben tre stelle Michelin.

Da lì a poco torna Francesco, il quale prepara sul banco ciò che gli servirà per il piatto che vuole presentarmi.





Per l'occasione propone un antipasto:

tartare di baccalà (solitamente sostituito dal branzino poiché più delicato) con stracciatella, arancia, cipolla di Tropea e gel di Campari.






Mentre inizia a tagliuzzare delicatamente il pesce, chiedo a Francesco come nasce l'idea di un piatto.

È lui ora a porgere una domanda a me: “Hai mai visto Stranger Things?”.

Mi parla del distaccamento dal reale della madre di Undici, la protagonista, sotto effetto di LSD. Per l'allusione sorride, chiarendo che “io non sono sotto effetto di LSD, palese”. Eppure a Francesco capita di distaccarsi completamente dal reale, ed è proprio lì che, dal nulla, concepisce l'idea di un piatto.

Un'idea che deriva dalla formazione da autodidatta e dalla sua emotività, seguita poi da uno studio ed una pratica in cucina.

Tuttavia, due sono gli elementi che rimangono per lui fondamentali:

il ricordo della nonna e l'esperienza dei viaggi.

Al mio intrufolarmi nei suoi ricordi di nonna, Francis appare colpito.

Sorride con dolcezza... e qui decido di smettere di scavare nelle sue emozioni.

Rimando così al discorso dei viaggi, da cui spesso trae idee e ricette.

Nella sua attuale cucina riconosce un forte rimando all'Est Europa.

In futuro, invece, si augura un tuffo nelle terre del Vietnam.





Mentre parliamo compone una “palla” di baccalà crudo, condita con olio e avvolta nella pellicola.

Subito dopo taglia la burrata, estrapolandone il cuore di stracciatella.

In questo momento chiedo se, l'esperienza di Masterchef, ha lasciato qualche insegnamento particolare.

La sua risposta è chiara: più che una qualche lezione culinaria, Francesco ha acquistato sicurezza personale.

Masterchef è infatti servito a “vincere sulla mia persona”.

Nel frattempo prepara minuziosamente tutti gli altri ingredienti che andranno a completare il piatto: l'arancia di stagione, la cipolla di Tropea cotta in infusione con vino rosso, aceto e anice, i germogli, i pistacchi di Bronte ed il gel di Campari.


"Cosa vuoi comunicare con questo piatto?"

Per Francesco il messaggio è ben preciso e ha a che fare con la ricercatezza.

Afferma che per fare un piatto simile, durante un servizio, ci vogliono al massimo dieci minuti:

il resto è apparenza e materia prima”.

Eppure, nella raffinatezza e nelle attenzioni riposte, Francis dice di metterci tutto sé stesso.

Ed ecco che, mettendoci tutto sé stesso, proprio quando credevo che il piatto fosse completo, questo giovane chef riesce a stupirmi.

Ora”, annuncia, “andiamo ad affumicarlo.”.

Fin qua, volendo vedere, tutto appare normale.

Lo affumichiamo con un legno che non nasce apposta per l'affumicatura, bensì usiamo il truciolo del violino, ottenuto dalla lavorazione del legno. Questo rilascia un sapore molto più acido e forte”.

Anche qua, il rimando alla ricercatezza.




La cura va alla scelta di un legno diverso da quello commerciale, un legno legato al territorio, in grado di valorizzare qualcosa di Cremona.

Ora il violino non appartiene più alla musica, ma ad un'altra forma d'arte: la cucina”.

E non si parla più dunque di una cucina rappresentata da un brasato, ma da un concetto elevato ad un livello artistico. Il cibo non appare più un bisogno nutritivo, bensì un'esperienza di vita.

Nel parlare accordiamo che in questa città, purtroppo, sembra ancora mancare una tale mentalità. Sulle tavole di Cremona, infatti, si cerca ancora la porzione casareccia, quella abbondante e impiattata “a sentimento”.

Ma non esiste giusto o sbagliato, e al Violino si cavalca da tempo un'onda fuori tendenza.

Un'onda generata dalla forza di queste giovani teste.

Un'onda che porta con sé innovazione, rigore e eleganza.

Un'onda da cui ho avuto l'onore di essere travolta, con cortesia, passione ed interesse.

Con la promessa di trasferirmi, molto presto, dalla cucina al tavolo.




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